Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica https://limateneo.com/index.php/Recercare <p>Rivista per lo studio e la pratica della musica antica</p> <p><em>Journal for the study and practice of early music</em></p> <p><strong>Recercare</strong> pubblica articoli sulla musica e la cultura musicale italiane o sulle relazioni musicali intercorse fra l’Italia e gli altri paesi, nel periodo compreso fra il quattordicesimo secolo e il primo Ottocento. Saranno presi in considerazione contributi in italiano, inglese, tedesco, francese e spagnolo. </p> LIM Editrice it-IT Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 1120-5741 A “recercare che sono mi solo”: the self-fashioning of a Renaissance lutenist https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/69 <div class="rte"> <p>Il <em>Capirola lutebook</em>, una delle più importanti fonti di musica strumentale del primo Cinquecento, conservato dal 1904 alla Newberry Library di Chicago, deve il suo nome al proprietario Vincenzo Capirola (1474–post 1548), gentiluomo di Brescia e membro di una ricca famiglia con legami nel vicino paese di Leno. Nel suo fondamentale saggio sul manoscritto, apparso nel 1955, Otto Gombosi avanzò l’ipotesi, ancor oggi accettata nella letteratura musicologica, che il copista del manoscritto, che vi compare con il nome Vidal, fosse un allievo di Capirola, che, con il suo accurato lavoro di copiatura avrebbe voluto, dunque, preservare il ricordo del maestro. Questo saggio riesamina una diversa lettura del nome VIDAL, che sarebbe, invece, un soprannome dello stesso Capirola (VIncenzo DA Leno), proposta nel 1981 da Orlando Cristoforetti. Di conseguenza, se il copista e il liutista sono la stessa persona, il manoscritto splendidamente decorato può essere visto come l’autorappresentazione di un gentiluomo e musicista, la cui arte contribuisce alla definizione della sua identità secondo le regole del codice di comportamento aristocratico. Oltre a ciò, un nuovo esame codicologico permette di ridiscutere luogo di compilazione e datazione del manoscritto proposti da Gombosi (Venezia, 1515–1520), suggerendo invece un più ampio intervallo di tempo e un diverso luogo per la sua preparazione; essa, infatti, potrebbe essere avvenuta in qualche centro del territorio veneziano, forse a Brescia, in un arco più ampio di tempo nella prima metà del Cinquecento.</p> <p><a href="https://www.lim.it/it/recercare/6594-a-recercare-che-sono-mi-solo-the-self-fashioning-of-a-renaissance-lutenist-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim" target="_blank" rel="noopener">https://www.lim.it/it/recercare/6594-a-recercare-che-sono-mi-solo-the-self-fashioning-of-a-renaissance-lutenist-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim</a></p> <p> </p> </div> Lucia Marchi Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35 Nuove musiche e nuova storia https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/70 <div class="rte"> <p>Sulla base di nuove fonti documentarie e musicali, l’articolo intende dimostrare come a Venezia, nel corso del primo trentennio del Seicento, le nuove pratiche di musica concertata a una, due e tre voci e basso continuo si diffusero assai più precocemente e rapidamente di quanto normalmente asserito nella letteratura musicologica. Vettore principale delle nuove pratiche fu il mecenatismo privato, che a Venezia assunse la forma di un fenomeno diffuso e trasversale, animato da soggetti appartenenti non solo al patriziato, ma anche al ceto cittadinesco e all’ampia e articolata classe dei popolari. Dopo un inquadramento generale del fenomeno e della connessa pratica dei ‘ridotti’ (una sorta di salotti musicali dell’epoca), illustrati grazie a un cospicuo <em>corpus</em> di dati frutto di una ricerca innovativa sotto il profilo metodologico, l’articolo mette a fuoco una singolare impresa mecenatesca: l’apertura, da parte di un’illuminata famiglia di ceto cittadinesco, di un «teatro» costruito appositamente per l’esecuzione di musica da camera. Partendo da una riflessione sulla qualità delle musiche eseguite in questa sede e sulle caratteristiche di una delle prime raccolte veneziane di musiche a voce sola — l’<em>Orfeo</em>, pubblicata da Bartolomeo Magni nel 1613 —, l’articolo prosegue illustrando le diverse forme di musica vocale (dall’aria strofica alla ‘lettera amorosa’ in stile recitativo), attraverso cui cui il germe della nuova musica concertata si diffuse in laguna nei due decenni successivi.</p> <p>https://www.lim.it/it/recercare/6596-nuove-musiche-e-nuova-storia-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim</p> </div> Rodolfo Baroncini Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35 The Vivaldis of Brescia https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/71 <div class="rte"> <p>Giovanni Pavolo Vivaldi (1554–1613/1626), qualificato «pittor», è il primo degli antenati paterni di Antonio Vivaldi residenti a Brescia di cui si abbia notizia. Era figlio di un Antonio Vivaldi veronese, di cui però ignoriamo il luogo di residenza. A Brescia i Vivaldi erano stanziati nella parrocchia di San Giovanni Evangelista.</p> <p>Agostino&nbsp;i (1601–1656/1662), ultimo figlio nato dal primo matrimonio di Giovanni Pavolo, fu «tessadro» (tessitore), commerciante e membro della corporazione. Agostino&nbsp;ii (1641–1693) era il figlio maggiore sopravvissuto di Agostino&nbsp;i; da giovane collaborò il padre come aiutante di bottega, ma, dopo aver prestato servizio come militare a Zara nel 1662–1664, si stabilì a Venezia. Unitosi in matrimonio con Domenica Petternella Buonamigo (12 novembre 1664), Agostino&nbsp;ii fece poi venire a Venezia la madre Margherita, la sorella Cecilia, il giovane fratello Giovan (Zan) Battista, e un altro giovane di minore età, Antonio Casari. Domenica Petternella Buonamigo, moglie di Agostino&nbsp;ii, era nipote orfana di Giovanni Floighen, nella cui casa avevano abitato i Vivaldi nei primi tempi in cui vivevano a Venezia.</p> <p>Giovan (Zan) Battista Vivaldi (1655–1736), fratello minore di Agostino&nbsp;ii aveva lavorato da giovane alle dipendenze di Giovanni Floighen, ma nel 1677 aveva intrapreso seriamente lo studio del violino. Grazie alla sua attività nelle orchestre dei teatri veneziani dovette crearsi una buona reputazione, tanto che nel 1685 riuscì ad ottenere un posto di violinista nella cappella di San Marco. L’abilità nel commercio posseduta dal padre, Agostino&nbsp;ii, fu di grande utilità a Giovanni Battista nel promuovere sia la propria carriera sia quella del figlio maggiore, il celebre Antonio (1678–1741). Possiamo immaginare che i due preziosi violini che Giovan Battista aveva acquistato nel 1708 furono quelli adoperati nell’<em>Estro armonico</em> (1711) di Antonio Vivaldi, la prima delle sue raccolte di concerti dati alle stampe.</p> <p>https://www.lim.it/it/recercare/6597-the-vivaldis-of-brescia-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim</p> </div> Eleanor Selfridge-Field Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35 Harpsichords at the court of Lorenzo Onofrio Colonna (1659–1689) https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/72 <div class="rte"> <p>L’articolo dà conto degli strumenti a tastiera posseduti da Lorenzo Onofrio Colonna tra il 1659 e il 1689, mostrando come rilevanti testimonianze della cultura materiale aristocratica contribuirono alle dinamiche sociali della famiglia e alla costruzione dell’identità aristocratica. Lorenzo Onofrio e sua moglie Maria Mancini, due dei più attivi mecenati della musica e del teatro a Roma durante la seconda metà del diciassettesimo secolo, possedevano una straordinaria collezione di clavicembali e altri strumenti a tastiera utilizzati dai membri della famiglia e dal personale al loro servizio, come pure da alcuni compositori. cantanti e musicisti fra i più noti dell’epoca. Lo spoglio dei libri contabili, degli inventari e della corrispondenza dei Colonna durante il trentennio preso in esame rivela un’ampia gamma di informazioni sulle caratteristiche di questi strumenti, nonché preziose notizie sui loro costruttori e sugli interventi di manutenzione a cui furono sottoposti nel corso del tempo. Alcuni di questi documenti offrono anche un raro spaccato dell’uso abituale di questi strumenti, rivelando i luoghi e le occasioni ordinarie e straordinarie in cui venivano suonati, nonché il repertorio in cui erano impiegati. Inoltre, questi strumenti vengono considerati nel più ampio contesto della cultura materiale aristocratica, non solo per la funzione rappresentativa che assumevano nello spazio del palazzo, ma anche nel ruolo che svolgevano all’interno delle relazioni familiari, dal momento che essi, di generazione in generazione, passavano da un membro della famiglia all’altro nei momenti socialmente o politicamente cruciali della loro vita. Mano a mano che nuovi strumenti venivano commissionati e i vecchi venivano riposti nel guardaroba, altri strumenti entravano o uscivano dalla collezione, grazie a nuovi legami familiari. In questo modo, la collezione degli strumenti di proprietà dei Colonna, costantemente cambiata nel corso degli anni, è rivelatrice del mutamento dei gusti estetici, degli interessi culturali e dei programmi politici dei vari membri della famiglia.</p> <p>https://www.lim.it/it/recercare/6598-harpsichords-at-the-court-of-lorenzo-onofrio-colonna-16591689-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim</p> </div> Valeria De Lucca Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35 Vivaldi rilegge Vivaldi https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/73 <div class="rte"> <p>Sebbene già nel 1711 Vivaldi annunciasse, nella premessa «Alli dilettanti di musica» dell’<em>Estro armonico</em>, op.&nbsp;iii, la pubblicazione di una sua seconda raccolta di concerti («mi fa corraggio di presto presentarvi un’altra muta de concerti a 4»), bisognò attendere il 1716 prima che <em>La stravaganza</em>, op.&nbsp;iv vedesse la luce. Il ritardo non fu dovuto all’editore Estienne Roger, ma piuttosto all’invio tardivo del materiale ad Amsterdam da parte del compositore, come recentemente documentato nel mio saggio <em>The (lost) violin concerto RV 316 by Vivaldi: its reconstruction and dating</em> («Studi vivaldiani», xviii, 2018). Grazie all’esistenza di versioni manoscritte non autografe ma, nondimeno, autorevoli di quattro concerti (rv&nbsp;383, 196, 298, 279) che trasmettono un contenuto musicale anteriore a quello poi confluito nell’op.&nbsp;iv, una collazione tra tali fonti permette di evidenziare numerose e significative differenze, che riguardano sia aspetti importanti del processo compositivo e rielaborativo vivaldiano (tagli, aggiunte, modifiche, riscrittura di parti strumentali o di interi passaggi, sostituzione di movimenti), sia cambi — o addirittura errori — introdotti dall’editore olandese nell’edizione a stampa. Inoltre, la somiglianza di alcuni ripensamenti compositivi di Vivaldi, riscontrati tanto in un paio di lavori dell’op.&nbsp;iv quanto in talune correzioni dello stesso compositore in un movimento di un concerto (D-Dl, Mus. 2421-O-14) composto da Johann Georg Pisendel durante la sua permanenza a Venezia, potrebbe fornire ulteriori indizi sul periodo di confezionamento dell’intera raccolta della <em>Stravaganza</em>.</p> <p>https://www.lim.it/it/recercare/6599-vivaldi-rilegge-vivaldi-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim</p> </div> Fabrizio Ammetto Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35 «Al fragor dei corni audaci» https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/74 <div class="rte"> <p>L’impiego dei corni nelle partiture vivaldiane, documentato al più tardi nel 1714 , coincide con l’introduzione dello strumento nella musica colta veneziana. Come è noto, all’inizio diciottesimo secolo, il corno iniziò ad abbandonare lentamente, anche se non del tutto, il tradizionale ruolo di strumento ‘da caccia’. Da allora, nella musica di Vivaldi rivestì un ruolo prettamente concertante, sia nella musica da camera che nell’opera, caratterizzato da un proprio idioma musicale e dall’uso del solo corno in Fa. Tuttavia, sussistono tutt’oggi molte questioni aperte circa l’uso dei corni nella musica di Vivaldi; esse sono legate sia all’identificazione dei modelli di strumento a cui pensava il musicista veneziano per le sue composizioni, sia alla corretta lettura delle parti di corno scritte sul pentagramma. Difatti, Vivaldi adottò differenti tipi di notazione, e quindi non è sempre facile individuare l’altezza assoluta delle note che i cornisti devono eseguire. L’articolo affronta questi problemi, attraverso lo studio approfondito delle fonti manoscritte, il confronto con altre composizioni di autori contemporanei e, soprattutto, la definizione di moduli melodici idiomatici tipici dello strumento. Inoltre, l’articolo intende ricostruire lo sviluppo della scrittura vivaldiana per corno, suggerendo la datazione di alcune composizioni non datate. In ultimo viene offerto qualche consiglio su questioni di prassi esecutiva storicamente informata.</p> <p>https://www.lim.it/it/recercare/6600-al-fragor-dei-corni-audaci-9788855433099.html#/1-tipo_prodotto-pdf_lim</p> </div> Gabriele Rocchetti Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35 Un «professore […] troppo politico» https://limateneo.com/index.php/Recercare/article/view/75 <div class="rte"> <p>Virtuoso di canto dai notevoli mezzi, Giuseppe Santarelli (1716–1790) ebbe una carriera fortunata, prima come interprete di ruoli di primo piano nei principali teatri d’Italia, poi come cantore pontificio. Fu in rapporti stretti con Francesco Algarotti, Charles Burney, padre Giambattista Martini e Pompeo Batoni, che gli fece uno splendido ritratto, oggi conservato nella Pinacoteca Civica di Forlì. L’articolo approfondisce le sue vicende biografiche sulla scorta di numerosi documenti conservati nell’archivio famigliare, depositato nella Biblioteca comunale “Aurelio Saffi” di Forlì e di recente reso disponibile alla consultazione. Nel suo complesso, l’archivio consta di sette buste e copre un arco temporale di oltre due secoli; tra decreti e medaglie, attestati e lettere che si riferiscono ai principali membri della famiglia a partire dal Settecento, spiccano numerosi documenti relativi a Giuseppe, alcuni dei quali di grande interesse documentario. Essi consentono di ripercorrere e circostanziare le tappe essenziali della formazione e della carriera, e di approfondire la sua attività di insegnante, compositore e storico della musica, con particolare enfasi sulle vicende legate alla progettazione e alla mancata pubblicazione del trattato in due tomi <em>Della musica del Santuario</em>. I documenti qui presentati restituiscono l’immagine di un musicista di grandi aspirazioni, che raggiunse una posizione invidiabile anche grazie alle frequentazioni che seppe intrattenere in qualità di consigliere caparbio, confidente devoto e di maestro autorevole.</p> <p> https://www.lim.it/it/recercare/6601-<span id="friendly-url_1">un-professore-troppo-politico</span>-9788855433099.html</p> <p> </p> </div> Elisabetta Pasquini Copyright (c) 2023 Recercare. Rivista per lo studio e la pratica della musica antica 2023-11-29 2023-11-29 35