A “recercare che sono mi solo”: the self-fashioning of a Renaissance lutenist
Abstract
Il Capirola lutebook, una delle più importanti fonti di musica strumentale del primo Cinquecento, conservato dal 1904 alla Newberry Library di Chicago, deve il suo nome al proprietario Vincenzo Capirola (1474–post 1548), gentiluomo di Brescia e membro di una ricca famiglia con legami nel vicino paese di Leno. Nel suo fondamentale saggio sul manoscritto, apparso nel 1955, Otto Gombosi avanzò l’ipotesi, ancor oggi accettata nella letteratura musicologica, che il copista del manoscritto, che vi compare con il nome Vidal, fosse un allievo di Capirola, che, con il suo accurato lavoro di copiatura avrebbe voluto, dunque, preservare il ricordo del maestro. Questo saggio riesamina una diversa lettura del nome VIDAL, che sarebbe, invece, un soprannome dello stesso Capirola (VIncenzo DA Leno), proposta nel 1981 da Orlando Cristoforetti. Di conseguenza, se il copista e il liutista sono la stessa persona, il manoscritto splendidamente decorato può essere visto come l’autorappresentazione di un gentiluomo e musicista, la cui arte contribuisce alla definizione della sua identità secondo le regole del codice di comportamento aristocratico. Oltre a ciò, un nuovo esame codicologico permette di ridiscutere luogo di compilazione e datazione del manoscritto proposti da Gombosi (Venezia, 1515–1520), suggerendo invece un più ampio intervallo di tempo e un diverso luogo per la sua preparazione; essa, infatti, potrebbe essere avvenuta in qualche centro del territorio veneziano, forse a Brescia, in un arco più ampio di tempo nella prima metà del Cinquecento.
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